ChessBoxing World
11/10/2023
11/10/2023
La parola al presidente della FISP, ma soprattutto il vero motore dei Mondiali di Riccione. Un insegnante appassionato di scacchi che non sa stare fermo e ha voluto immaginare che effetto avrebbe fatto il chessboxing in Italia
Lo chiamano “Wolf”, lupo, ma non perché sia un predatore spietato: è semplicemente l’abbreviazione inglesizzata di Volfango, il suo nome di battesimo. Si definisce “un uomo curioso con diversi interessi e la voglia di creare cose belle”. A 51 anni, milanese trapiantato nell’Oltrepò Pavese, Volfango Rizzi di cose belle ne ha fatte tante, a cominciare dalla sua bimba, una signorinella di 6 anni che in un attimo di tempo è passata dai biberon alla prima elementare.
Dietro alla complessa operazione di portare i Campionati Mondiali di scacchipugilato in Italia c’è lui: il motore instancabile dotato di trazione integrale che pensa a tutto e non si ferma davanti a niente.
E in fondo non può essere diverso per un uomo che ama così tanto l’insegnamento da aver passato le cattedre di ogni ordine e grado: dall’asilo alle università. E nel tempo libero, sempre meno, per 32 anni si è divertito ad insegnare scacchi ai neofiti ed esperti. Lui che con la scacchiera ha sempre avuto un rapporto affettivo, fin da quando era un ragazzino che ai soldatini preferiva i pedoni.
Ma Wolf è anche e soprattutto un viaggiatore, un figlio del mondo globale che ha vissuto per 17 anni fra Inghilterra e Galles, dove era andato in realtà per pochi mesi, giusto per affinare l’inglese. In mezzo ci ha messo anche la Spagna e la Germania, e ancora più di recente la Thailandia, dove ha passato per intero lo scorso inverno-primavera.
Wolf il globetrotter, ti piace come definizione?
Sì, abbastanza. Anche se in realtà mi è sempre piaciuta l’idea del cambiamento, la novità, lo spirito di adattamento che serve in dosi massicce quando ti ritrovi in posti con culture e tradizioni diverse.
Dopo 17 anni nel Regno Unito hai capito di essere “un po’ stanchino”, come diceva Forrest Gump?
Esatto, volevo tornare in Italia soprattutto perché avevo scoperto l’esistenza del chessboxing: mi piaceva l’idea di organizzare un movimento italiano che includesse anche i due atleti ed un maestro che da alcuni anni si dedicavano allo scacchipugilato, ma sempre costretti a trasferte all’estero.
Ricordi la prima volta in cui ti sei imbattuto nella “strana coppia” dello scacchi & pugilato?
Con precisione no, stavo leggendo notizie di scacchi ed ho saputo di questo sport combinato. Mi ha subito appassionato e ho iniziato a fare ricerche in rete e cercare contatti con gli organizzatori di una disciplina che ancora oggi è pionieristica, ma figuriamoci allora.
Cosa ti ha colpito?
Capire che per la prima volta gli scacchi potevano diventare qualcosa di affascinante anche per uno spettatore non scacchista. Fino ad allora un conto era giocarci, un altro assistere ad un incontro dal vivo per qualcuno che non si intende di scacchi. Nel chessboxing la posizione dei pezzi sulla scacchiera è proiettata sugli schermi e commentata dal vivo, e come per magia diventa appassionante.
Se siamo qui a parlarne, è chiaro che i contatti con i vertici del chessboxing li hai trovati…
Nel 2012 sono volato a Londra, anche perché avevo appuntamento con Iepe Rubingh, l’artista che ha creato la disciplina ispirandosi ad una graphic novel di Enki Bilal.
Che tipo era?
Una persona molto affabile, con un’apertura mentale notevole e una cultura profonda, un trascinatore contagioso. Mi è spiaciuto tanto quando è mancato, nel 2020: con lui ancora qui il chessboxing avrebbe avuto un’accelerazione che invece è mancata.
Rewind: dall’Inghilterra in valigia hai messo la bislacca idea di portare lo scacchipugilato in Italia, notoriamente Paese di santi e navigatori ma un po’ refrattari alle novità.
Mi sono proposto di creare la Federazione Italiana, ma non è stato semplice. All’inizio faticavo a spiegare che non era uno scherzo, gli atleti dovevano realmente sfidarsi a pugni nel ring e cimentarsi anche sulla scacchiera. Oggi la FISP organizza i Campionati Mondiali e l’Italia ha un vicepresidente della WCBO, la federazione mondiale.
E questa idea, ancora più impegnativa, di portare i Mondiali in Italia?
Ci è balenata nel 2021, quando Mosca ha dato forfait per via del Covid e abbiamo proposto di organizzarli in Sicilia, a Palermo. Avevamo una finestra di appena tre mesi, ed è andata male: anche il nostro progetto si è dovuto bloccare a causa di un nuovo Decreto. Sono tuttora riconoscente del supporto che il presidente del Coni Giovanni Malagò allora ci diede.
Da quanto lavori all’appuntamento di Riccione?
Dalla fine dello scorso anno, anche se la conferma ufficiale della Federazione Mondiale è arrivata solo a metà febbraio di quest’anno e i grandi lavori sono partiti allora. Una regola che ho chiesto di cambiare: per organizzare un appuntamento internaizonale che richiama atleti da tutto il mondo serve più tempo, bisogna saperlo almeno l’anno precedente.
Cosa ti aspetti che accada quando i riflettori si spegneranno sul Play Hall di Riccione?
Prima di tutto, che finalmente questa disciplina sia più conosciuta in Italia e nel mondo e, secondo, che sia un altro passo verso il riconoscimento ufficiale internazionale come disciplina sportiva. Mi piacerebbe anche che un atleta azzurro potesse vincere una medaglia d’oro nel chessboxing tradizionale (a Riccione vi saranno anche le versioni del chessboxing Light e Fit).